Italia e Giappone, quando il dialogo è gourmet

Sarà perché entrambe danno una grande importanza alla qualità degli ingredienti e ai gusti semplici, ma il dialogo gourmet tra Italia e Giappone sembra trovare sempre nuove strade per esprimersi. Il boom della cucina italiana in Giappone risale agli anni ’90 quando iniziarono a imperversare sulla TV giapponese i primi programmi di cucina italiana ed oggi è una tendenza consolidata. La nostra cucina è tra le preferite e le più popolari in Giappone e anche se nessuno è riuscito mai a contarli, si dice che nella capitale giapponese ci siano almeno 20mila ristoranti di cucina italiana. I giapponesi conoscono l’Italia e le sue tradizioni, quella culinaria compresa, molto meglio di quanto noi non conosciamo il Sol Levante. I corsi per sommelier di vino sono oramai una realtà e adesso in Giappone stanno prendendo piede anche quelli per esperti di olio di oliva. La domanda di cucina italiana è talmente alta e vasta che è nata anche un’associazione di cuochi giapponesi di cucina italiana Acci, unica nel suo genere, che nessun’altro paese può vantare. Numerosi sono poi gli chef o aspiranti tali che vengono a studiare in Italia e poi fanno pratica nei ristoranti stellati più quotati della penisola. Molti rientrano poi in patria per aprire un proprio ristorante o per lavorare in quello di famiglia altri, come Tokuyoshi, una stella Michelin ed ex sous-chef di Bottura si fermano in Italia ed aprono il proprio tempio gourmet.Il boom della cucina giapponese in Italia è, invece, relativamente recente. Nelle grandi città come Milano o Roma sono anni che il sushi fa tendenza ma fino a qualche anno fa la confusione intorno a questo piatto era notevole tanto che in pochi sapevano distinguere la qualità di un piatto da wok-sushi da quella di un sushi artigianale, alla giapponese. Bastava dire “sushi”, parola che per anni più dell’identità di un piatto ha raccontato la suggestione di una tendenza esotica e chic, che tutto andava bene. Oggi, fortunatamente, le cose stanno cambiando. La svolta è arrivata con Expo Milano 2015 durante la quale il padiglione giapponese è stato il più visitato dopo quello italiano. Grazie al progetto governativo, Cool Japan, nato per promuovere all’estero il “soft power” giapponese, sin dal 2013 sono stati numerosi gli eventi realizzati in Italia dalle prefetture giapponesi per presentare il territorio e la loro tradizione culinaria. Parallelamente sono stati numerosi gli eventi e i seminari sulla cultura gastronomica giapponese, sugli ingredienti e piatti specifici. La diffusione d’informazioni specifiche e precise ha sviluppato un interesse per la cucina giapponese autentica che si è tradotta, praticamente, nell’apertura di numerosi ristoranti a gestione giapponese. Dopo la rivalutazione da parte del pubblico dei ristoranti giapponesi di sushi, nei quali è possibile degustare autentico sushi, sono comparsi ristoranti giapponesi nei quali è possibile mangiare autentica cucina giapponese. A Milano, ad esempio, è già qualche anno che Maido propone lo okonomiyaki come piatto principale del proprio menù a base di piatti tipici dello stree-food giapponese come gli yakisoba. Se il ramen è una tendenza ormai acclarata, anche gli udon stanno iniziando a fare la loro comparsa nei menù dei ristoranti giapponesi. È questa la scelta che ha fatto Tenoha, che nel suo menù propone udon in brodo di maiale ma anche tonkatsu, shogayaki, karaage a altre prelibatezze tipiche della cucina giapponese. Un menù vario ma completo in puro stile lunch tokyoita. Per chi ancora non sapesse che in Giappone si mangia anche carne, è d’obbligo una visita da Yazawa, il tempio del wagyu, la morbidissima e pregiatissima carne giapponese marmorizzata. Da Tokyo Table, invece, i protagonisti sono “otsunami”, una cinquantia di stuzzichini giapponesi a prezzi contenuti, ma non solo: pasta, pesce e carne. Alla Gastronomia Yamamoto, è la cucina casalinga giapponese ad essere protagonista del menù. A Milano è aperta da un paio di anni anche Sakeya, il tempio del sake in Italia. Oltre a una ampissima proposta di sake provenienti da tutto il Giappone, Sakeya si propone coma una izakaya di alto vello con una proposta gastronomica che si rifà a due elementi fondamentali della cucina giapponese, la territorialità e la stagionalità. Così come è successo a Milano, anche a Roma i ristoranti di cucina giapponese sono aumentati per numero e qualità. Sushisen è uno dei pochi kaitenzushi in Italia. La sala seduta propone però anche un’ottima cucina kaiseki oltre a piatti più arditi e creativi. Roll creativi e inimitabili si trovano invece da Kiko. Da Waraku è invece protagonista la cucina casalinga: dal ramen al wafu hambagu al takoyaki, è il locale più adatto per degustare lo street-food giapponese nella Capitale. Numerose sono anche i locali con una ampia proposta di ramen: da Hokusai Ramen, la proposta del ramen può essere degustata in numerose varianti possibili: shio, shoyu, ma anche curry ramen. Al tutto si aggiunge la possibilità di arricchire la zuppa con ingredienti extra – gyoza, okonomiyaki, pollo teriyaki, mochi. MaMa Ya-Ramen, è un'altra ramenya romana doc, adatta per chiunque voglia degustare ramen gourmet.

Stefania Viti